Capitolo 2
Quattordici anni. Primo giorno di Liceo.
E tu che cosa vorresti fare da grande?
Voglio diventare un astronauta!
Le risate dilagarono nell’aula. “Ma non ti pare che sia un po’ bambinesca come idea? Non hai mica cinque anni!” Lo rimproverò la professoressa. Un rimprovero inascoltato, un rimprovero senza alcun senso. La solita barriera mentale che precludeva alcun rapporto tra Antonio e il resto del mondo. Le persone con i piedi per terra che risposta avrebbero dato a una simile domanda? Quale risposta ci si aspetta da una simile domanda? Io vorrei fare il medico, io vorrei fare l'avvocato, io l'impiegato, io il cassiere, io il notaio, io l'autista, io l'insegnante...
Ad Antonio però poco importava. Le parole di chi aveva i piedi ancorati a terra non lo sfioravano minimamente. La sofferenza o la fantasia? Nessuno sa di preciso in quale di questi due mondi Antonio si rifugiasse.
Forse entrambi. La sua solitudine era un misto di sofferenza e fantasia, questo pensavano in molti. Un circolo vizioso che cresceva di giorno in giorno assumendo le sembianze dell'asocialità.
“Suo figlio è un alunno modello. Eccelle in tutto e non presenta mai difficoltà di alcuna sorta. C’è una cosa che però mi preoccupa: in certi momenti non riesco proprio a capire che cosa gli passi per la testa…” Spiegava la professoressa al colloquio con la madre “… qualche volta durante le spiegazioni lo vedo assorto. Anche all’intervallo, invece di andarsene a divertirsi normalmente con i suoi compagni rimane in classe da solo a mangiare il pranzo. E poi continua a guardare fuori dalla finestra. Come se fuori da quella finestra ci fosse qualcosa. Invece, come può ben vedere non c'è proprio niente. Solo uno stupidissimo prato incolto.”
E sopra quel prato incolto
c'è il cielo.
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