SEGRETO
Intorno a me si spargono con estrema lentezza calde molecole di respiro.
E’ la prima volta in vita mia che sento il fiato di un’altra persona, la sua anima, così vicina alla mia.
Sembra volermi dire a bassa voce: “non sei solo.”
So che è solo un’illusione. Uno scherzo della mia immaginazione. Eppure la testa di lei addormentata, appoggiata alla mia spalla innamorata, su quel morbido autobus grigio delle sette e tre quarti, non mi sembra finzione.
E’ vera. E’ reale. Lo so. Lei ora esiste ed è accanto a me.
La mia fermata ormai è passata da un pezzo. Sarei dovuto scendere per recarmi a scuola, ma non sono proprio riuscito a distaccare il mio sguardo dal suo respiro. Se me ne vado adesso la perderò per sempre. Le nostre strade si separeranno allo stesso casuale modo in cui si sono incrociate, anche se solo per pochi minuti.
Ma poi lei chi è? Che cosa starà sognando in questo momento?
E poi mi sarebbe piaciuto sapere dove l’avrebbe dovuta portare questo autobus. Dallo zaino che tiene abbracciato credo a scuola, ma non ci giurerei. Del resto anch’io dovevo essere seduto al mio banco alle 08.05 davanti a un noiosissimo professore che avrebbe parlato senza interruzione per un’infinità di ore. E invece sono qui, seduto accanto ad un angelo dalle ali nere caduto dall’etere nel mio triste mondo di sabbia.
Un pensiero di nuvola inizia a turbare il mio limpido cielo. Cosa accadrà quando si sveglierà?
Devo riuscire in qualche modo a chiederle il nome.
Lei si sveglierà all’ultima fermata e accorgendosi di essere appoggiata sulla mia spalla di scatto alzerà la testa e mi guarderà con aria smarrita. “Non ho avuto il coraggio di svegliarti” potrei dirle.
Allora lei controllerà l’orologio e scoprirà di essere in enorme ritardo. Spiegandole che tanto ormai non l’avrebbero ammessa a scuola senza giustifica, potrei invitarla al bar a fare colazione. E poi dire:
“A proposito, ma tu come ti chiami?”
Il suo fiato continuava ad accarezzare il mio collo. L’autobus si stava mano a mano svuotando. Il capolinea si stava avvicinando. Il mio sogno stava finendo. Il sole stava sorgendo.
Sorridevo accarezzandole inconsciamente i capelli scuri. Quando me ne resi conto mi girai di scatto pensando che qualcuno avrebbe potuto vedermi. Invece no. Eravamo soli.
Io e lei.
L’autobus si fermò per qualche minuto. Non so dove fossimo arrivati, di sicuro molto lontano. Ai lati della strada era ammucchiata la neve. Il paesaggio era bianchissimo.
Ma ci sarà un bar qui?
Poi aprì gli occhi. Poco alla volta. Piano piano.
Mi guardò, con occhi di piena mattina.
“E’ il capolinea?” Mi chiese.
Non risposi nulla, non riuscii. Scossi solo lievemente la testa in segno di assenso.
Poi si alzò e lentamente si diresse verso l’uscita centrale. Prima di scendere si girò nuovamente verso di me. Si fermò in quella posizione per qualche istante, assorta in chissà quali pensieri. Poi mise un piede per terra. E di nuovo. Si fermò.
Muoviti! Muoviti! Va da lei!
Mi alzai. Ma gli sportelli dell’uscita di colpo si chiusero. Non è il capolinea.
Lei scosse la testa. L’autobus riprese lentamente a muoversi in salita. Aprii con fatica un finestrino.
E poi dissi.
“A proposito, ma tu come ti chiami?”
Fu allora che la sua voce mi invase l’anima come la più alta delle maree. Il più bello dei fuochi d’artificio. La più grande delle cascate. La più luminosa delle stelle. La più bella delle musiche.
tuttavia...
Quel nome.
è il mio segreto.
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